“Meriti” e “bisogni” nel finanziamento del sistema universitario italiano

“Meriti” e “bisogni” nel finanziamento del sistema
universitario italiano
Antonio Banfi e Gianfranco Viesti
1. Contenuti, organizzazione e principali conclusioni del lavoro
Il presente lavoro ha l’obiettivo di analizzare le decisioni e le regole che hanno determinato
tanto l’ammontare del finanziamento del sistema universitario nazionale quanto i criteri di
allocazione fra le singole sedi universitarie; nell’ultimo ventennio, ma con un’attenzione
particolare agli anni successivi al 2008, anni nei quali si sono registrati notevoli
cambiamenti. Al tempo stesso si intende valutare – almeno in parte – l’impatto di queste
regole. In particolare si cercherà di discutere se e in che misura tali regole rispondano
effettivamente a criteri che premiano il “merito” dei soggetti coinvolti e quanto siano in
grado di soddisfare il notevole “bisogno” di istruzione terziaria nel nostro paese.
Il lavoro è organizzato come segue.


La prima parte è dedicata ad una illustrazione critica dell’evoluzione del quadro normativo.
Nel paragrafo 2 viene descritta la genesi, nel 1993, del Fondo di Finanziamento Ordinario
(FFO) delle università, e viene sottolineato come, sin dalla sua nascita, i criteri attraverso i
quali il fondo viene chiamato ad operare si caratterizzino per alcune significative
incoerenze. Il paragrafo 3 ripercorre la storia del FFO fino al 2010, portando in particolare
l’attenzione sui diversi tentativi di modificarne i criteri per far fronte a squilibri di
finanziamento all’interno del sistema che erano allora già visibili. Il paragrafo 4 è dedicato
all’illustrazione dei provvedimenti (legge 240/2010) che prendono il nome dall’allora
Ministro Gelmini, destinati ad incidere profondamente sul sistema universitario italiano e
a determinare l’avvio dell’Agenzia Nazionale di Valutazione dell’Università e delle Ricerca
(ANVUR). Dell’attuazione della legge 240 si dà conto nel paragrafo 5, ed in particolare dei
criteri che vengono via via introdotti per la valutazione del “merito” nel sistema
universitario e per l’allocazione della quota “premiale” via via crescente, del FFO. Il
successivo paragrafo 6 è invece dedicato all’esercizio di valutazione della ricerca (VQR
2004-10) che è stato realizzato dall’ANVUR e che ha inciso in maniera ampia e crescente
sui meccanismi di finanziamento delle università, mettendone in luce le non poche
criticità. Il paragrafo 7 è dedicato agli sviluppi più recenti, ed in particolare
all’introduzione, a partire dall’assegnazione FFO per il 2014, del cosiddetto “costo
standard”.

La seconda parte del lavoro è invece dedicata all’analisi dei cambiamenti nei flussi di
finanziamento del sistema universitario. In particolare il paragrafo 8 dà conto della
fortissima riduzione del FFO che è avvenuta a partire dal 2008, nell’ambito di un processo
che ha portato la quota di risorse provenienti dal Ministero per l’Università e la Ricerca
(MIUR), rispetto alle entrate del sistema universitario, a ridursi sensibilmente. Il paragrafo
9 mostra gli effetti allocativi fra atenei dell’insieme di queste disposizioni, in particolare
attraverso la semplice comparazione del FFO del 2008 con quello del 2014. Il paragrafo 10
si occupa dell’introduzione del costo standard nell’ambito del FFO, mostrando, in base ai
criteri con i quali gli indicatori sono costruiti, i forti effetti allocativi all’interno del sistema.
Il paragrafo 11 è invece dedicato a mostrare gli effetti dei provvedimenti di limitazione del
turnover e dei nuovi parametri di valutazione finanziaria sulla dimensione e sulla
composizione del corpo docente delle università italiane. Il paragrafo 12 chiude il lavoro
con alcune considerazioni d’insieme.

Le principali conclusioni cui si giunge sono le seguenti. Sin dalla nascita, il Fondo di
Finanziamento Ordinario delle università (FFO) presenta alcune contraddizioni di fondo:
esso consolida, infatti, lo status quo, attraverso la definizione della cosiddetta “quota
storica” e si presenta come veicolo di finanziamento omnibus all’interno del quale fare
ricadere sia il funzionamento sia le allocazioni premiali connesse alle politiche di
valutazione della ricerca, ponendo le premesse per una perniciosa mescolanza di ambiti fra
loro assai diversi. Fra il 1993 e il 2010 la composizione dell’FFO subisce mutamenti anche
significativi, articolati su di una linea evolutiva centrata sul tentativo di introdurre
dinamiche “virtuose” anche di carattere competitivo e di sterilizzare gli squilibri
determinati dalla “quota storica”. In questo quadro sono elaborati diversi modelli di
allocazione, che tuttavia non sfuggono al problema dell’assimilazione, in un unico
contenitore, di aspetti fra loro assai eterogenei. L’avvio delle politiche di riduzione della
spesa pubblica, che interessano pesantemente anche il comparto dell’università e della
ricerca, porta rapidamente il sistema in uno stato di crisi conclamata. La “Riforma
Gelmini”, nata – nelle intenzioni dichiarate dal legislatore – per assicurare una buona
autonomia universitaria, si traduce in realtà in un provvedimento per molti profili iperregolante
e centralizzatore. La nascita dell’Agenzia Nazionale di Valutazione (destinata ad
avere un ruolo determinante, in modo sia diretto che indiretto, per quel che concerne il
finanziamento del sistema) comporta di fatto uno svuotamento delle responsabilità e del
ruolo di indirizzo politico del Ministero; contribuendo così ad accentuare, almeno per certi
versi, la crisi del sistema.

Nell’enorme mole dei provvedimenti attuativi della l. 240/2010, si ritrovano disposizioni
di notevole importanza ai fini del finanziamento del sistema: spiccano in particolare le
regole relative ad AVA (sistema di autovalutazione e accreditamento) e VQR (valutazione
della qualità della ricerca); ad esse si aggiungono la previsione del ricorso al criterio del
costo standard per studente e la valutazione ex post del reclutamento, quest’ultima
destinata – almeno in prima battuta – a confluire all’interno della VQR. Con la messa a
regime dell’ANVUR e l’avvio dell’esercizio di valutazione nazionale (VQR), i risultati della
valutazione iniziano ad avere un impatto significativo (e crescente nel tempo)
sull’allocazione dell’FFO. Tuttavia, le modalità con le quali l’esercizio è stato costruito –
imitando, ma con importanti differenze il RAE/REF del Regno Unito – lasciano spazio ad
alcuni dubbi: riguardano sia l’adozione di automatismi che si traducono in una
deresponsabilizzazione del decisore politico, sia la scelta di adottare soluzioni tecniche non
sufficientemente robuste, distanziandosi significativamente dai modelli di riferimento ai
quali ci si era voluti richiamare.

Con l’FFO 2014 si giunge a un momento di svolta: sembra
che si sia scelto una volta per tutte la strada del superamento della “quota storica”. Una
scelta per più versi condivisibile, viste le distorsioni e gli evidenti squilibri che essa
determinava. Tale superamento passa attraverso il criterio del costo standard per studente,
finalmente definito. Al contempo è innalzata la quota “premiale” assegnata sulla base degli
esiti della valutazione. Si tratta di scelte politiche che devono tuttavia essere accompagnate
da un accorto monitoraggio degli effetti (cfr. infra) e da opportune clausole di salvaguardia,
per evitare di generare – ancora una volta – nuove e pericolose situazioni di squilibrio.
Il mutamento delle normative e le scelte operate nel corso degli ultimi anni hanno avuto
effetti profondi nel finanziamento delle università.

Sul totale del finanziamento degli atenei
è notevolmente diminuito il peso del MIUR (e in particolare dell’FFO), a vantaggio della
contribuzione studentesca e di finanziamenti di soggetti terzi; già questo ha prodotto un
significativo impatto territoriale. L’FFO è notevolmente diminuito fino a raggiungere nel
2013, in valori reali, i livelli di metà anni Novanta. L’aumento del peso della quota
premiale, i variabili indicatori su cui essa è costruita e il peso nettamente prevalente
(rispetto alla didattica e alla “terza missione”) ricoperto dalla valutazione della ricerca,
riveniente dalla VQR, hanno avuto un impatto molto profondo sull’allocazione dell’FFO fra
Atenei. Posto che i criteri “premiali” hanno principalmente determinato solo una diversa
modulazione dei tagli imposti dalle scelte complessive di finanziamento, essi hanno agito
in maniera assai asimmetrica, penalizzando in particolare i grandi atenei del Centro-Sud (e
in generale più i grandi che i piccoli e più il Centro-Sud del Nord). La riduzione dell’FFO,
comparando il 2014 con il 2008 ha toccato in valore assoluto gli 83 milioni per la Sapienza
di Roma e in termini percentuali il 19% per l’Università di Messina.

L’introduzione del costo standard nel 2014 produrrà un ulteriore forte shock al sistema. In
primo luogo, dato che si è deciso di calcolarlo sui soli studenti “in corso” determina un
forte effetto asimmetrico tra atenei a seconda dei tempi medi per il conseguimento della
laurea: tempi che dipendono solo in parte dalla “virtù” degli atenei e che sono anche legati
a diverse condizioni di contesto. L’effetto è ancora una volta di “punire” gli atenei del
Centro-Sud e in certa misura i grandi atenei. Il metodo va attentamente valutato, perché
può produrre pericolosi fenomeni di azzardo morale, può determinare (attraverso
l’aumento della tassazione per i fuori corso) una riduzione del numero dei laureati, e creare
comunque un ulteriore forte shock per diversi atenei, con contrazioni ulteriori dell’FFO che
possono raggiungere il 25%. I nuovi criteri di allocazione delle risorse fra università hanno
avuto un importante impatto anche sul corpo accademico, ed in particolare sul
reclutamento dei nuovi docenti. Le possibilità di sostituzione dei docenti usciti dal servizio
vengono infatti a dipendere da complicate e mutevoli variabili di natura finanziaria –
premiando fra l’altro un elevato livello di tassazione degli studenti – con il risultato di
amplificare gli effetti mostrati in precedenza. Così il turnover negli atenei italiani,
complessivamente modesto, è stato fortemente asimmetrico fra sedi, con percentuali
comprese fra oltre il 100% e il 10% circa, nell’ultimo triennio. Si sta determinando, quindi,
un forte effetto delle diverse disposizioni normative, che tendono ad agire tutte nello stesso
senso e a rafforzarsi cumulativamente.

In conclusione, sembra opportuno un complessivo ripensamento del sistema oggi in
vigore, alla luce delle rilevanti criticità che sono state messe in luce. Andrebbe valutato in
particolare un sistema alternativo, che potrebbe distinguere il finanziamento ordinario
dalle allocazioni competitive per la ricerca, che potrebbero a loro volta essere basate su
esercizi di valutazione o più semplicemente su bandi competitivi o ancora, su di una
combinazione opportunamente ponderata dei due sistemi. Senza un complessivo
ripensamento, nel giro di pochissimi anni si produrrà una radicale trasformazione del
sistema universitario italiano, per effetto di indirizzi politici molto forti e altrettanto
discutibili, ma mai resi chiaramente espliciti.

2. Le origini dell’FFO
Sin dalla nascita, il fondo presenta alcune contraddizioni di fondo: esso consolida, infatti,
lo status quo, attraverso la definizione della cosiddetta “quota storica” e si presenta come
veicolo di finanziamento omnibus all’interno del quale fare ricadere sia il funzionamento
sia le allocazioni premiali connesse alle politiche di valutazione della ricerca, ponendo le
premesse per una perniciosa mescolanza di ambiti fra loro assai diversi.
Il fondo di finanziamento ordinario (FFO) costituisce tuttora il principale veicolo per il
finanziamento del sistema universitario:
nel 2000 esso costituiva il 61,3% del
finanziamento complessivo; alla data del 2012, il 53,7% (Paleari et al 2014).
L’FFO nasce nel 1993, grazie a una previsione contenuta nell’art. 5 c. 1 lett. a della l.
537/1993, legge con la quale si diede vita all’autonomia finanziaria degli atenei: “A
decorrere dall’esercizio finanziario 1994 i mezzi finanziari destinati dallo Stato alle
università sono iscritti in tre distinti capitoli dello stato di previsione del Ministero
dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica, denominati: a) fondo per il
finanziamento ordinario delle università, relativo alla quota a carico del bilancio statale
delle spese per il funzionamento e le attività istituzionali delle università, ivi comprese le
spese per il personale docente, ricercatore e non docente, per l’ordinaria manutenzione
delle strutture universitarie e per la ricerca scientifica, ad eccezione della quota destinata ai
progetti di ricerca di interesse nazionale di cui all’articolo 65 del decreto del Presidente
della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e della spesa per le attività previste dalla legge 28
giugno 1977, n. 394”.
Come si vede, nell’intenzione del legislatore di allora l’FFO doveva assicurare non solo il
finanziamento del funzionamento ordinario degli atenei (stipendi del personale incluso)
ma anche la ricerca condotta ordinariamente dai docenti: i fondi per i progetti di ricerca di
interesse nazionale (PRIN) erano infatti tenuti distinti da quelli per attività ordinarie di
carattere istituzionale, manutenzione e ricerca. Lo stesso art. 5, co. 1, della l. 537/1993
prevedeva anche l’istituzione del Fondo per l’edilizia universitaria e per le grandi
attrezzature scientifiche e del Fondo per la programmazione dello sviluppo del sistema
universitario.
La legge 537/1993 struttura l’FFO in una quota base, “da ripartirsi tra le università in
misura proporzionale alla somma dei trasferimenti statali e delle spese sostenute
direttamente dallo Stato per ciascuna università nell’esercizio 1993” e una quota di
riequilibrio, la cui ripartizione sarebbe dovuta avvenire sulla base di una serie di criteri
individuati con Decreto ministeriale – sentiti CUN1 e CRUI2 -, quali costi standard per
studente, obiettivi della ricerca, condizioni dimensionali, ambientali e strutturali (art. 5 c.
3).
Nasce in questo modo la cosiddetta “quota storica”; la quota base viene appunto definita
sulla base dei trasferimenti del 1993, avvantaggiando di conseguenza gli atenei che in
quell’anno erano beneficiari dei trasferimenti maggiori, e fra questi gli atenei che per
ragioni dimensionali avevano le maggiori spese di personale. Il legislatore del 1993 non è
inconsapevole dei rischi di distorsioni a ciò dovuti e infatti all’art. 5 c. 8 della l. 537/1993, si
prevede che a partire dal 1995 la quota base sarebbe stata progressivamente ridotta a
favore della quota di riequilibrio, la quale sarebbe stata incrementata per un importo
1 Il CUN, Consiglio Universitario Nazionale è un organo elettivo, rappresentativo del Sistema universitario nazionale, cui la legge
istitutiva attribuisce, fra l’altro, il compito di formulare pareri e proposte indirizzati al Ministro in materia di politiche di sistema.

2 La CRUI, Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, è l’associazione delle università italiane, statali e non.
“almeno pari” alla riduzione. La quota di riequilibrio avrebbe dovuto essere modulata al
fine di ridurre i “differenziali nei costi standard di produzione nelle diverse aree
disciplinari” e di riallineare le “risorse erogate tra le aree disciplinari, tenendo conto delle
diverse specificità e degli standard europei”. Ciononostante, ancora nel 2007, la
Commissione tecnica per la finanza pubblica afferma che “il finanziamento è
prevalentemente basato sulla spesa storica: il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) ha
collegamenti modesti con l’attività di ricerca e didattica”3.
A questo punto, si possono fare alcune osservazioni. La legge istitutiva dell’FFO, già nel
1993, mostra le tracce di alcune incoerenze e della mancanza di una visione complessiva
del modo in cui si voleva che fosse organizzato il sistema di finanziamento. Infatti, se da un
canto si procede a consolidare lo status quo (attraverso la quota base), si prevede poi che la
quota di riequilibrio venga allocata secondo una pluralità di criteri. Criteri che lasciano
intendere, in nuce, la volontà del policy maker di adottare strumenti lato sensu valutativi,
quali ad esempio il raggiungimento di “obiettivi di qualificazione della ricerca” (l.
537/1993, art. 5 c. 3). Il legislatore, come si vede, si esprime in termini molto vaghi, ma in
tal modo prepara la strada per successivi interventi: giocoforza difficili, destinati ad
incidere sulla carne viva del sistema universitario.
Per certi versi, si direbbe che nel 1993 non si sia avuto il coraggio di intervenire in modo
deciso sul governo del sistema, limitandosi a rinviare il problema, con il risultato di
contribuire a consolidare ulteriormente le criticità e di rendere più dolorosi gli interventi
successivi, dei quali si dirà più avanti. D’altra parte, ed è questo un punto particolarmente
importante, la legge istitutiva dell’FFO consolida un equivoco fondamentale, che ancora
oggi caratterizza il governo dal centro del sistema dell’università e della ricerca: infatti, la
quota base di riparto avrebbe dovuto essere assegnata anche sulla base di criteri
quantitativi o qualitativi in qualche modo connessi alla performance degli atenei, in
particolare (ma non solo) in materia di ricerca. Tuttavia ciò è in contraddizione con la
natura stessa di un fondo destinato al “finanziamento ordinario”. L’errore, insomma, è
quello di far ricadere in un unico contenitore fondi necessari al “funzionamento” e fondi
che avrebbero potuto avere una natura in qualche modo “premiale”.
Tutto ciò deriva anche dal fatto che, nel nostro ordinamento, i docenti universitari hanno
istituzionalmente sia compiti di didattica che di ricerca: e poiché una larghissima parte
dell’FFO è destinato già allora a coprire i costi del personale, con la l. 537/1993 si pongono
le precondizioni per una perniciosa confusione fra ambiti diversi: costo e sostenibilità del
personale, qualità della ricerca, qualità della didattica e così via. Meglio sarebbe stato, fin
da allora, prevedere due diversi canali di finanziamento: uno destinato, appunto, alle spese
ordinarie, da definirsi anche sulla base di una programmazione eseguita in larga parte dal
centro e vincolata al raggiungimento di obiettivi di sistema (ad es. numero di laureati,
qualità della didattica) agganciati al raggiungimento di soglie di livello europeo; e un altro,
con funzione premiale e incentivante, destinato a un’allocazione il più possibile efficace dei
fondi per la ricerca.

Nel 1993 si sceglie, purtroppo, di non distinguere obiettivi e strumenti per il loro
raggiungimento: una scelta che ha segnato il sistema fino ad oggi, come si vedrà anche più
oltre. D’altra parte, consolidando la quota “storica” in assenza di un’analisi complessiva del
sistema, si pongono le premesse affinché la gestione del sistema universitario passi in
primo luogo attraverso una ridefinizione della principale voce di costo, ossia quello per il
personale: cosa che è puntualmente avvenuta e – ancora una volta – in modo generalizzato
3 Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (2007); in tal senso anche Agasisti e Catalano (2007).
e in assenza di un quadro politico complessivo capace di assicurare un governo
consapevole e mirato della macchina nel suo insieme (Paleari et al, 2014).
3. L’evoluzione dell’FFO dopo il 1993 e fino al 2010
Fra il 1993 e il 2010 la composizione dell’FFO subisce mutamenti anche significativi,
articolati su di una linea evolutiva centrata sul tentativo di introdurre dinamiche
“virtuose” anche di carattere competitivo e di sterilizzare gli squilibri determinati dalla
“quota storica”. In questo quadro sono elaborati diversi modelli di allocazione, che
tuttavia non sfuggono al problema dell’assimilazione in un unico contenitore di aspetti
fra loro assai eterogenei. L’avvio delle politiche di riduzione della spesa pubblica, che
interessano pesantemente anche il comparto dell’università e della ricerca, porta
rapidamente il sistema in uno stato di crisi conclamata.
La l. 537/1993 introduce l’FFO nel quadro della concessione di autonomia finanziaria agli
atenei. All’autonomia finanziaria doveva pertanto corrispondere l’adozione di criteri di
valutazione in grado di orientare in modo virtuoso l’autonomia appena concessa: si è già
detto come la scelta di concentrare in un unico contenitore larghissima parte del
finanziamento, mescolando spese per personale, spese per ricerca e altri capitoli fra loro
eterogenei, abbia contribuito ad alimentare la confusione e a rendere più difficile un
ordinato governo del sistema.

Per quanto riguarda la quota di riequilibrio, in prima applicazione viene adottato un
modello predisposto dalla Commissione tecnica per la spesa pubblica del Ministero del
Tesoro, poi sostituito, nel 1998, da altro modello elaborato dall’Osservatorio nazionale per
la valutazione del sistema universitario (Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica,
2007). Il documento del 1998 (a soli 5 anni dalla legge del 1993) riconosce che il
consolidamento della quota storica ha prodotto squilibri significativi fra atenei, e auspica
una accelerazione nel processo di riequilibrio. In particolare, l’Osservatorio propone una
composizione dell’FFO così articolata: il 50% per le “domande di formazione”; il 20% sia
per i “risultati della formazione” sia per i “risultati della ricerca”; il 10% per “incentivi”
(Osservatorio Nazionale per la valutazione del Sistema Universitario, 2008).
Per quel che riguarda la quota di riequilibrio, la proposta dell’Osservatorio è articolata
come segue: 55% per le “domande di formazione”; 25% per i “risultati della ricerca”; 20%
per i “risultati della formazione”. Come si vede, la quota di riequilibrio avrebbe dovuto
essere assegnata sulla base di criteri in larga parte premiali, ai quali andavano aggiunti i
criteri per l’assegnazione della “quota di riequilibrio finanziata con risorse aggiuntive”,
indirizzata in primo luogo alla riduzione degli squilibri fra atenei, così ripartita: 67% per
l’”accelerazione del riequilibrio per gli atenei più svantaggiati”, e l’11% rispettivamente per
“aumento del fondo di ricerca di ateneo”, riduzione del tempo necessario per il
conseguimento della laurea” e “diminuzione della quota di spese per il personale di ruolo
rispetto al FFO”.

E’ interessante notare come, per ammissione dell’Osservatorio, le dimensioni della quota
di riequilibrio siano state – per i primi anni – estremamente contenute: “nel primo anno di
applicazione, il 1995, la quota di riequilibrio è stata fissata all’1,5%, nel 1996 al 3,5% e nel
1997 al 7%” (Osservatorio Nazionale per le Valutazioni del Sistema Universitario, 2008).
Negli intendimenti dell’Osservatorio, al fine di sanare gli squilibri fra atenei e di
“permettere l’adozione delle politiche locali desiderate” (Osservatorio Nazionale per le
Valutazioni del Sistema Universitario, 2008, p. 8). si sarebbe dovuto procedere a un
incremento progressivo della quota di riequilibrio, in ragione di una percentuale pari al 3%
annuo, fino alla completa sostituzione di tale quota alla quota base, entro il 2027.
Ancora una volta, si protrae la confusione di fattori eterogenei, con la costruzione di un
modello per certi versi troppo semplice per la gestione di realtà estremamente complesse,
qual è quella del sistema dell’università e della ricerca, e per altri versi troppo complicato,
perché tendente a mescolare elementi non omogenei (tempi di laurea, quota riservata alle
spese per personale, qualità della ricerca, qualità della didattica) all’interno di un unico
capitolo di spesa. Si creano così le premesse per una situazione di crisi generalizzata, non
appena le condizioni di finanza pubblica avessero richiesto l’applicazione di tagli
generalizzati, destinati ad abbattersi senza distinzione su tutte le componenti dell’FFO e –
in particolare sulla sua componente maggioritaria, ossia la spesa per il personale.
In effetti, già nel 1997 viene posta la questione di porre un freno alla crescita della
componente relativa alla spesa per personale all’interno dell’FFO. La l. 449/1997, pone
vincoli al fabbisogno finanziario del comparto universitario, prevedendo un tetto si spesa
agganciato al 1997 per il 1998, e maggiorato dell’inflazione per gli anni 1999 e 2000 (art. 51
c. 1). Il vincolo viene attuato, prevedendo, fra l’altro, che le spese fisse e obbligatorie per il
personale di ruolo non potessero eccedere il 90% dei trasferimenti statali sull’FFO; e che le
università che avessero superato tale limite non potessero procedere ad assunzioni per un
costo superiore al 35% delle risorse rese disponibili dalle cessazioni dal servizio (art. 51 c.
4). Il superamento della soglia di spesa, insomma, avrebbe comportato un vincolo al
turnover. Nonostante quanto previsto dalla l. l. 449/1997, un numero significativo di
atenei continua a superare il tetto del 90% anche grazie a interventi di alleggerimento del
vincolo, quale quello introdotto con la l. 143/2004, che prevede di escludere dal computo
gli incrementi stipendiali del personale già in servizio e un terzo della spesa relativa al
personale in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) (art. 5): cifre
indubbiamente rilevanti e perciò destinate a rendere assai meno incisivo il vincolo del
90%. Peraltro, la questione degli oneri relativi a personale accademico che svolge anche
attività assistenziale (rispetto ai quali si potrebbe ipotizzare un canale di finanziamento
diverso rispetto a quello ordinario, e imputabile al Ministero della Salute) è già allora
oggetto di vivace discussione: una discussione che perdura ancor oggi, senza che sia in
vista una soluzione.
In ogni caso, nei primi anni duemila, si vede come, nonostante gli incrementi dell’FFO, la
componente di spesa relativa agli stipendi si mantenga elevata, quando non in crescita: tav.

1.
Tab. 1. FFO assegnato alle università statali 2001-05 (milioni di euro).
Prendono così forma alcune dinamiche nell’andamento dell’FFO: da un canto cresce la
quota da destinarsi alle retribuzioni, erodendo altre possibili voci di spesa. Visto anche il
vincolo alle contribuzioni studentesche, allora pari al 20% dell’erogazione dell’FFO,4 e la
carenza quasi totale di erogazioni dal centro finalizzate all’edilizia, accade così che alcuni
atenei cominciano a incrementare le proprie posizioni debitorie, con il rischio di generare
significativi squilibri finanziari.
Diversi sono i tentativi di sventare tali squilibri attraverso iniziative del legislatore: la l.
311/2004 introduce l’obbligo di programmazione triennale del personale (art. 1 c. 105), un
principio ribadito dalla successiva l. 43/2005 (art. 1–ter).5 Per assicurare il controllo
ministeriale sulla programmazione delle università viene anche messa in opera, grazie al
CINECA6, la procedura informatizzata detta PROPER: da allora in avanti i conti sulla
sostenibilità del reclutamento e sul turnover si sarebbero svolti sulla base di un’unità
contabile (il punto organico, PO), per la quale già nel 2003 il CNVSU (CNVSU 2003)7
aveva proposto le seguenti equivalenze: 1 professore ordinario = 1 PO; 1 professore
associato = 0,7 PO; 1 ricercatore = 0,5 PO; 1 non docente = 0,33 PO. Equivalenze, come si
vede, molto rigide e non in grado di rispecchiare l’evoluzione del sistema e delle dinamiche
stipendiali nel tempo.8
In questo quadro, il CNVSU, con suo documento del gennaio 2004 (CNVSU 2004),
propone un nuovo modello di ripartizione dell’FFO, destinato ad essere applicato – almeno
4 D.P.R. 306/1997, art. 5.
5 Peraltro, i primi D.M. relativi alla programmazione vedranno la luce solo nel 2007.
6 Il CINECA, Consorzio interuniversitario per il calcolo automatico, è un centro di calcolo che opera sotto il controllo del MIUR.
7 Il CNVSU era il Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario, istituito con la l. 370/1999.
8 Si veda anche P. Rossi (2015).
parzialmente – fra il 2004 e il 2009. Il CNVSU, dopo aver rilevato che l’autonomia
concessa agli atenei a partire dal 1993 richiede adeguati strumenti di valutazione, propone
“che il sistema di incentivi e disincentivi finanziari, che costituisce lo strumento più
efficace a disposizione dell’autorità centrale per governare il sistema, sia incardinato nel
sistema di finanziamento” (CNVSU 2004, p. 2). Il Comitato riconosce anche come le
politiche degli anni precedenti abbiano contribuito a una riduzione significativa degli
squilibri fra atenei, dovuti alla quota storica, entro la fascia – pur sempre rilevante – del
+/- 20%: (CNVSU 2004, p. 4). Il nuovo modello di FFO previsto dal CNVSU è articolato
come segue: 30% domanda da soddisfare, misurabile in termini di studenti iscritti
(considerando anche le loro caratteristiche); 30% risultati dei processi formativi,
misurabili annualmente in termini di crediti (Cfu) acquisiti; 30% risultati delle attività di
ricerca scientifica; 10% incentivi specifici.
Il CNVSU, insomma, difende la bontà della suddivisione dell’FFO sulla base di un modello,
o formula, ritenuto più efficace e flessibile di una pluralità di specifici interventi
incentivanti. Naturalmente, al fine di una corretta applicazione del modello, si rendeva
necessaria la disponibilità di dati completi ed affidabili sul sistema: un’esigenza solo in
parte risolta nel tempo, tanto che ancor oggi non disponiamo di dati attendibili sulla
ricerca certificati da un’apposita anagrafe.
Sempre al fine dell’applicazione del proprio modello, in CNVSU elabora una serie di
formule per la definizione dello studente “equivalente a tempo pieno” e assegna, al
contempo, una serie di pesi alle diverse classi di laurea. Pesi di questo tipo erano stati
utilizzati anche negli anni precedenti: fra il 1998 e il 2003 erano stati adottati sei pesi,
compresi fra 1,5 per giurisprudenza e 7,8 per medicina e medicina veterinaria. Nella
proposta del CNVSU i pesi sono ridotti a quattro: fra 4,5 e 5 (gruppo A); fra 2,5 e 3,5
(gruppo B); fra 1,5 e 2 (gruppo C) e pari a 1 per l’ultimo gruppo9.
Nell’opinione del Comitato, si sarebbero adottati in tal modo “criteri analoghi a quelli
utilizzati da altri Paesi, come il Regno Unito, che individuano costi standard per studente
equivalente a tempo pieno per un numero limitato di gruppi di corsi di studio” (CNVSU
2004, p. 14). In realtà non è così, perché le pesature vigenti nel Regno Unito erano
costruite in modo molto più robusto e agganciato ai costi effettivi sostenuti per la
formazione, come mostra la tabella 2, tratta dallo stesso rapporto CNVSU.
Tab.2 Pesature disciplinari utilizzate nel Regno Unito.
In effetti, analizzando le tabelle relative ai vari gruppi proposte dal CNVSU, emergono
significative anomalie. Premesso che con D.M. 28 luglio 2004 n. 146 si è stabilito che “per i
pesi relativi ai quattro gruppi di corsi di studio valgono, in prima applicazione, le
indicazioni dei valori massimi forniti nel documento del Comitato”, si scopre, ad esempio,
che gli studenti di matematica e statistica “pesano” al pari di quelli di medicina e medicina
9 La classificazione nei gruppi delle diverse aree disciplinari, che desta non piccole perplessità, è la seguente. Gruppo A:
biotecnologie, scienze della terra, scienze e tecnologie agrarie, chimiche, fisiche, per l’ambiente, scienze matematiche, statistiche,
zootecniche, professioni sanitarie, medicina, veterinaria, odontoiatria. Gruppo B: urbanistica, architettura, ingegneria, servizio
sociale, scienze biologiche, della navigazione, farmaceutiche, informatiche, filosofia, scienze sociali per la cooperazione, scienze
storiche, tecnologie per i beni culturali, disegno industriale, farmacia. Gruppo C: lingue, lettere, scienze dei beni sculturali,
dell’economia, dell’educazione, dell’amministrazione, geografiche, delle attività motorie, del turismo. Gruppo D: scienze giuridiche,
delle comunicazioni, politiche, delle arti figurative, psicologiche, sociologiche, strategiche.
veterinaria, cinque volte uno studente di giurisprudenza. Si tratta di una scelta del tutto
ingiustificata e contraria ai principi adottati dall’HEFCE che, correttamente, pesa
effettivamente gli studenti sulla base del costo in attrezzature: tanto che il peso massimo
non è attribuito a tutti gli studenti di medicina e medicina veterinaria, ma unicamente a
coloro che frequentano i “clinical stages”. In proposito è stato acutamente osservato
quanto segue: “In Italia, più che da una valutazione di costi, i pesi sembrano dipendere
dalla numerosità massima delle classi, che, non a caso, è riportata accanto ad ogni gruppo.
È una fotografia dell’esistente. Per alcune lauree è data per scontata una folla di studenti
per docente, in altre si è abituati a un docente per una manciata di studenti. Così come
riesce meglio una lezione di matematica impartita a venti studenti, non lo sarebbe forse
anche una lezione di psicologia? Sorge spontanea una domanda: non è che lo studente “low
cost” con le sue tasse finanzia i corsi di laurea “first class”?”.10 In ogni caso, le discutibili
pesature stabilite dal CNVSU entreranno, a partire dal 2004, nei D.M. di assegnazione
dell’FFO (e a cascata, nelle ripartizioni interne agli atenei), fino al recente D.M. relativo al
2014, del quale si dirà più oltre.
Nonostante gli interventi descritti in precedenza e l’ottimismo dimostrato dal CNVSU
riguardo alla riduzione degli squilibri fra atenei, nel luglio del 2007 la Commissione
tecnica per la finanza pubblica continua a manifestare serie perplessità, di seguito
estesamente riportate: “La situazione di crescente squilibrio finanziario aiuta a capire
perché negli ultimi anni il FFO sia stato allocato quasi esclusivamente sulla base delle
quote storiche di spesa, nonostante la predisposizione, da parte del CNVSU, di un modello
di ripartizione basato su criteri di valutazione ampiamente condivisi dagli attori coinvolti
(MIUR e CRUI). Dal punto di vista della “qualità” della spesa, le implicazioni di questo
orientamento per quanto riguarda l’allocazione delle risorse tra i diversi atenei sono molto
significative. Infatti, rispetto ad una ripartizione teorica del FFO secondo la formula del
CNVSU, la situazione attuale presenta marcate differenze: Università finanziate in eccesso
(fino al 36%) e Università finanziate per difetto (fino al 43,1%). Anche se è comprensibile
che l’adozione di un nuovo modello avvenga con gradualità per consentire agli atenei di
assumere consapevolezza dei cambiamenti che ne derivano sul proprio posizionamento, la
scelta di intervenire soltanto con un ammontare di risorse molto limitato, peraltro
addizionale rispetto al FFO, ha sostanzialmente comportato, pur senza un’esplicita
abrogazione, l’interruzione del processo positivo innescato dalla legge 537/93 verso l’uso
efficiente ed efficace della spesa pubblica. Anzi, può considerarsi un risultato negativo il
fatto che anche atenei sovradimensionati finanziariamente in base al modello del CNVSU
abbiano ricevuto comunque una quota di tali risorse, anche se soltanto in proporzione al
loro “peso” calcolato nel sistema” (Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica 2007, p.
14).
La Commissione tecnica, pertanto, propone nel 2007 alcuni interventi correttivi, finalizzati
in particolare ad assicurare la stabilità finanziaria del sistema e al potenziamento di un
“modello incentivante” quale corrispettivo del consolidamento dell’autonomia
universitaria (Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica, p. 10 e ss.). Da notare come la
Commissione tecnica richiami, fra l’altro, l’esigenza di assicurare stabilità all’andamento
dell’FFO, e ciò non solo per evitare possibili situazioni di dissesto, ma anche per assicurare
una razionale e robusta pianificazione da parte degli atenei. A questo scopo, la
Commissione suggerisce di assicurare “una dinamica del FFO pari almeno alla media
ponderata delle variazioni dei seguenti indici: indice delle retribuzioni del personale non
contrattualizzato delle pubbliche amministrazioni, stabilito con DCPM (peso 0,58); indice
10 C. Barbieri, G. De Nicolao, Un riparto difficile: il backstage del piano triennale pavese, settembre 2013,
http://www.circoloerreraunipv.it/wordpress/?p=230
delle retribuzioni del personale tecnico amministrativo (peso 0,27); indice generale dei
prezzi al consumo (peso 0,15)” (Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica 2007, p. 19).
In realtà, il 2008 vede l’approvazione di misure di politica economica tali da assicurare,
anziché la stabilità del fondo, una sua massiccia e progressiva riduzione.
Contemporaneamente, con il D.L. 180/2008 (art. 21), si stabilisce che a decorrere dal 2009
una quota non inferiore al 7% dell’FFO sia attribuita sulla base di una serie di parametri,
ossia: (i) qualità dell’offerta formativa, (ii) qualità della ricerca scientifica, (iii) qualità,
efficacia ed efficienza delle sedi didattiche. Le concrete modalità di ripartizione vengono
rinviate a un decreto ministeriale da adottarsi entro la fine del 2008, sentiti CIVR e CUN.
In effetti, il D.M. di assegnazione dell’FFO per il 2010,11 richiamando sia il modello teorico
elaborato dal CNVSU, sia le previsioni del D.L. 180/2008, esplicita – in premessa –
l’intenzione di adottare un “modello unico di finanziamento”. Di conseguenza, l’FFO viene
allocato per l’80% sulla base della quota storica, mentre il 10% è attribuito sulla base di
criteri contenuti in un allegato e connessi a “qualità dell’offerta formativa” (fra i quali:
studenti iscritti regolari che abbiano conseguito almeno 5 CFU, percentuale di laureati
occupati a tre anni dal conseguimento del titolo, esiti della valutazione della didattica da
parte degli studenti), e “qualità della ricerca scientifica” (essenzialmente basata sulla
partecipazione a progetti PRIN, FIRB, o dell’Unione Europea). Buona parte di questi
indicatori risultano in realtà non operativi in assenza dei relativi dati e sono sospesi per il
2010.
11 D.M. 655/2010: http://attiministeriali.miur.it/anno-2010/dicembre/dm-21122010.aspx
4. La riforma del 2010 e la nascita dell’ANVUR
La “Riforma Gelmini”, nata – nelle intenzioni dichiarate dal legislatore – per assicurare
una buona autonomia universitaria, si traduce in realtà in un provvedimento per molti
profili iper-regolante e centralizzatore. La nascita dell’Agenzia Nazionale di Valutazione,
destinata ad avere un ruolo determinante, in modo sia diretto che indiretto, per quel che
concerne il finanziamento del sistema, comporta di fatto uno svuotamento delle
responsabilità e del ruolo di indirizzo politico del Ministero, contribuendo così ad
accentuare, almeno per certi versi, la crisi del sistema.
Nel dicembre del 2010 viene approvata la l.240/2010, comunemente nota come “Riforma
Gelmini”, dal nome dell’allora ministro. La riforma ha un notevole impatto, su tutti gli
aspetti del sistema universitario, dalla governance al reclutamento. In questa sede,
interessano però unicamente gli aspetti connessi al finanziamento. In proposito, va rilevato
come quanto previsto dalla legge di riforma in materia di finanziamento sia per più aspetti
strettamente connesso all’azione dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione del sistema
Universitario e della Ricerca (ANVUR), che viene ad assumere un ruolo di primaria
rilevanza nell’allocazione delle risorse, della quale si dirà in seguito.
Dopo una premessa, nella quale si richiama implicitamente l’art. 33 Cost., e nella quale si
afferma l’importanza delle università come sede di “libera ricerca e di libera formazione”
nonché “luogo di apprendimento ed elaborazione critica delle conoscenze”, operante per il
“progresso culturale, civile ed economico della Repubblica” (art. 1, c. 1), il legislatore
afferma che al Ministero spetta un’attività di pianificazione strategica e di indirizzo:
all’ANVUR spetta invece il compito di “verificare e valutare i risultati” e tutto ciò con lo
scopo di garantire “una distribuzione delle risorse pubbliche coerente con gli obiettivi, gli
indirizzi e le attività svolte da ciascun ateneo, nel rispetto del principio della coesione
nazionale, nonché’ con la valutazione dei risultati conseguiti” (art. 1 c. 4). Ancora, all’art. 2
c. 12 si precisa che “il rispetto dei principi di semplificazione, razionale dimensionamento
delle strutture, efficienza ed efficacia di cui al presente articolo rientra tra i criteri di
valutazione delle università valevoli ai fini dell’allocazione delle risorse, secondo criteri e
parametri definiti con decreto del Ministro, su proposta dell’ANVUR”. Emergono così già
alcuni fra i principi che caratterizzano la l.240/2010: efficientamento del sistema, per più
aspetti (qualità di didattica e ricerca, ma anche per aspetti di carattere per così dire
amministrativo, quali semplificazione, razionale dimensionamento ecc.) e ruolo chiave
dell’Agenzia di Valutazione.
Più nel dettaglio, la legge delega al Governo (art. 5 c.1) l’adozione di decreti legislativi
finalizzati al raggiungimento di una serie di obiettivi, fra i quali la “”valorizzazione della
qualità e dell’efficienza delle università” con la “conseguente introduzione di meccanismi
premiali nella distribuzione delle risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante” e l’
“introduzione, sentita l’ANVUR, di un sistema di valutazione ex post delle politiche di
reclutamento degli atenei, sulla base di criteri definiti ex ante”. Il tutto accompagnato da
una revisione della disciplina in materia di contabilità, al fine di assicurare il rispetto della
programmazione triennale da parte degli atenei, nonché di criteri di sostenibilità
finanziaria; in questo contesto, è prevista anche l’adozione di una specifica disciplina
mirante a regolare le procedure di commissariamento degli atenei in caso di dissesto
finanziario (art. 5 c. 1 lett. b).12
Come ben si vede, il legislatore del 2010 indirizza il proprio intervento riformatore verso
una serie di obiettivi non omogenei, spaziando dalla didattica alla ricerca, per giungere alla
12Cfr. anche l’art. 5 c. 4.
stabilità finanziaria; un tema, quest’ultimo, connesso alla questione della composizione del
corpo docente. In ciò, purtroppo, può essere ravvisata una certa continuità con la
legislazione precedente. Infatti, all’art. 5 c. 3, lett. a si prevede l’ “introduzione di un
sistema di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio universitari”, “fondato
sull’utilizzazione di specifici indicatori definiti ex ante dall’ANVUR per la verifica del
possesso da parte degli atenei di idonei requisiti didattici, strutturali, organizzativi, di
qualificazione dei docenti e delle attività di ricerca, nonché di sostenibilità economicofinanziaria”.
Il sistema di accreditamento si accompagna all’ “introduzione di un sistema di
valutazione periodica basato su criteri e indicatori stabiliti ex ante, da parte dell’ANVUR,
dell’efficienza e dei risultati conseguiti nell’ambito della didattica e della ricerca dalle
singole università e dalle loro articolazioni interne” (art. 5 c. 3 lett. b): è qui adombrato –
almeno per quel che riguarda la ricerca – l’esercizio periodico di valutazione nazionale,
comunemente noto come VQR.
La complessa struttura disegnata dal legislatore, che comprende accreditamento,
valutazione nazionale, ma anche ridefinizione delle procedure di autovalutazione operate
dagli atenei (art. 5, c. 3 lett. c), si accompagna all’introduzione di meccanismi incentivanti
(meglio: incentivanti e disincentivanti), finalizzati appunto al raggiungimento degli
obiettivi. Ciò non poteva che passare per una riformulazione della composizione dell’FFO:
si tratta infatti di “incentivi correlati al conseguimento dei risultati (..), nell’ambito delle
risorse disponibili del fondo di finanziamento ordinario delle università allo scopo
annualmente predeterminate” (art. 5 c. 3 lett. e).
Inizia dunque a prendere forma un articolato sistema centralizzato che vede al suo vertice
il Ministero, responsabile della programmazione strategica; quindi l’ANVUR, incaricata di
definire indicatori e di svolgere esercizi di valutazione; e infine gli atenei, la cui autonomia
viene regolata attraverso l’indicazione di obiettivi, incentivi e disincentivi. Della
complessità e di alcuni aspetti critici di tale sistema si dirà qualcosa più oltre. Qui vale la
pena di notare come – nel quadro di una serie di disposizioni miranti ad assicurare la
sostenibilità dei bilanci degli atenei – la legge prevede che nell’esercizio della delega, il
Governo introducesse il “costo standard unitario di formazione per studente in corso,
calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti
contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università, cui collegare
l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento
ordinario non assegnata ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 10 novembre 2008, n.
180, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1” (art. 5, c. 4 lett. f).
Come si è già avuto modo di accennare, il costo standard era già menzionato nella l.
537/1993, ma occorrerà attendere la fine del 2014 perché tale indicatore sia definito ed
effettivamente applicato nell’assegnazione dell’FFO (cfr. infra).
In questo quadro, e sempre con riferimento all’FFO, si delega il Governo ad attenersi al
principio dell’attribuzione di una quota non superiore al 10% del Fondo sulla base di
“meccanismi di valutazione delle politiche di reclutamento degli atenei, elaborati da parte
dell’ANVUR” (art. 5 c. 5). Agli interventi perequativi, rivolti a sanare gli squilibri derivanti
dalla cosiddetta “quota storica”, la l. 240/2010 destina una quota dell’FFO non inferiore
all’1,5%, da assegnare a quegli atenei che presentino “una situazione di sottofinanziamento
superiore al 5 per cento rispetto al modello per la ripartizione teorica del fondo di
finanziamento ordinario elaborato dai competenti organismi di valutazione del sistema
universitario” (art. 11 c. 1). Peraltro, l’intervento perequativo viene escluso quando il
sottofinanziamento dipende dall’esito di esercizi di valutazione.
Modifiche sono anche apportate al D.L. 180/2008, prevedendo che la quota minima
dell’FFO assegnata sulla base di criteri “valutativi”, pari al 7%, venga incrementata su base
annuale di una percentuale compresa fra lo 0.5 e il 2% dello stesso FFO, “tenendo conto
delle risorse complessivamente disponibili e dei risultati conseguiti nel miglioramento
dell’efficacia e dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse” (art. 13 c. 1 lett. b). Parimenti, in
modo coerente con quanto disposto con l’art. 5 della l. 240/2010, il legislatore introduce
fra gli eterogenei criteri di valutazione già previsti dal D.L. 180/2008 (ossia: qualità e
risultati della formazione, qualità della ricerca e qualità ed efficienza delle sedi didattiche)
anche l’incidenza del costo del personale sulle risorse complessive dell’ateneo nonché
“l’entità” dei progetti di ricerca, sia nazionali che internazionali, assegnati all’ateneo (art.
13 c. 1 lett. a).
Questo, in sintesi, il quadro disegnato dalla l. 240/2010: come si è già detto in precedenza
si tratta di una serie estremamente complessa di prescrizioni, miranti a costruire una sorta
di gabbia all’autonomia universitaria, evidentemente ritenuta un pericolo tanto sotto il
profilo dell’efficienza nella didattica e nella ricerca, quanto sotto il profilo della stabilità
economico-finanziaria. Un quadro reso ulteriormente complesso dal gran numero di
provvedimenti attuativi previsti dalla legge: oltre quaranta, diversi dei quali toccano
direttamente la questione del finanziamento.
Ora, al di là della qualità intrinseca della legislazione fin qui esaminata, di cui è evidente la
macchinosa iper-regolazione e l’ispirazione centralizzatrice – una scelta, peraltro,
decisamente contrastante con le prime prese di posizione in materia da parte dell’allora
Ministro13 – vale la pena di soffermarsi un momento su di un punto specifico: l’azione di
controllo esercitata sugli atenei e destinata a influenzare in modo rilevante il
finanziamento si fonda sull’applicazione di una pluralità di indicatori (o modelli)
quantitativi, relativi a dati tra loro non omogenei, la cui definizione è demandata
all’Agenzia nazionale di valutazione.
Alla complessità normativa, si aggiungono quindi gli oneri – non irrilevanti – che derivano
dall’esigenza di raccogliere i dati, elaborare e validare indicatori. Tali operazioni – sebbene
a prima vista possano apparire di carattere tecnico – hanno in realtà ricadute “politiche” di
grande rilievo. Il che ci conduce a un ulteriore problema, che merita di essere segnalato. La
creazione di una Agenzia nazionale di valutazione non fu idea del Ministro Gelmini: l’idea,
in effetti era di Luciano Modica14, che nel febbraio del 2006 propone l’istituzione di una
“Autorità” responsabile della valutazione del sistema dell’università e della ricerca:15
l’Agenzia (non più un’autorità, dunque) viene istituita con la finanziaria 2007,16 ma rimane
per una serie di motivi non operativa fino al maggio del 2011. Non è questa la sede dove
approfondire la complessa vicenda della genesi dell’ANVUR,17 ma vale comunque la pena
di ricordare che anche in questo caso il Ministro Gelmini inizialmente si oppone
13 Si vedano ad es. le dichiarazioni del 2008, rese alla Commissione Cultura della Camera dei Deputati: “Si prospettano due
possibilità. O una gestione più fortemente centralizzata del sistema universitario, con regole uguali per ogni ateneo, ogni professore,
ogni ricercatore; oppure, prendendo atto delle diversità presenti tra i singoli Atenei e centri di Ricerca, porre le condizioni per
valorizzarne la specificità. La seconda opzione, analogamente a quanto avviene in molti paesi caratterizzati da sistemi universitari di
eccellenza, ci sembra quella da sostenere.” Testo disponibile a questo indirizzo: http://popolari-liberali.blogspot.it/2008/06/universite-
ricerca-gli-indirizzi-del.html .
14 Già Presidente della CRUI quindi senatore e successivamente sottosegretario al Ministero dell’Università e della Ricerca.
15http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00176900.pdf
16L. 286/2006, art. 2 c. 138 ss.
17Sul punto si veda la dettagliata ricostruzione di R. Rubele, Appunti per una storia dell’ANVUR, disponibile al seguente indirizzo:
http://www.roars.it/online/author/renzorubele/ .
all’Agenzia, definita come “una costosissima struttura ad alto tasso di burocrazia e
rigidità”.18
Ciononostante, essa diviene, come si è visto, una delle colonne portanti della l. 240/2010:
il risultato è che il cumulo di compiti, tanto vari quanto ampi, attribuiti all’Agenzia
ministeriale, in combinazione con il cattivo disegno istituzionale della medesima (Banfi
2013a), finiscono per mettere in discussione alcuni dei principi stessi della legge di
riforma, in particolare quando essa afferma che al Ministero spetta un’attività di
pianificazione strategica e di indirizzo mentre ad ANVUR spetta il compito di “verificare e
valutare i risultati”. Infatti il Ministero competente è parso negli ultimi anni
sostanzialmente svuotato di capacità di indirizzo a favore dell’Agenzia che attraverso la
propria azione “tecnica” sembra sempre più essere il vero centro decisionale, capace di
orientare l’intero sistema (Barbati 2014). Tutto ciò è conseguenza non solo dell’impianto
della l. 240/2010, ma anche dei provvedimenti attuativi che ad essa seguono e che –
limitatamente alla questione del finanziamento – saranno rapidamente esaminati nelle
pagine seguenti.
18http://www.repubblica.it/2008/06/sezioni/scuola_e_universita/servizi/gelmini/audizione-camera/audizione-camera.html
5. Dai provvedimenti attuativi della l. 240/2010 alla novella del 2013
sull’FFO
Nell’enorme mole dei provvedimenti attuativi della l.240/2010, si ritrovano disposizioni
di notevole importanza ai fini del finanziamento del sistema: spiccano in particolare le
regole relative ad AVA (sistema di autovalutazione e accreditamento) e VQR (valutazione
della qualità della ricerca); ad esse si aggiungono la previsione del ricorso al criterio del
costo standard per studente e la valutazione ex post del reclutamento, quest’ultima
destinata poi a confluire all’interno della VQR.
I provvedimenti attuativi della legge di riforma sono molto numerosi: due di essi sono
specificamente diretti a regolare aspetti del finanziamento pubblico. In particolare, il Dlgs.
19/2012, che fa seguito all’art. 5 c. 1 lett. a della legge, è dedicato alla “valorizzazione
dell’efficienza delle università e conseguente introduzione di meccanismi premiali nella
distribuzione di risorse pubbliche sulla base di criteri definiti ex ante anche mediante la
previsione di un sistema di accreditamento periodico delle università”. Senza entrare nel
dettaglio delle procedure di accreditamento delle sedi e dei corsi di studio, nonché di
valutazione della ricerca – alle quali sarà dedicata qualche riga in seguito – merita di
essere osservato come perno dell’intero sistema sia l’Agenzia di valutazione: essa definisce,
fra l’altro, indicatori, criteri, adempimenti ai fini dell’accreditamento delle sedi e dei corsi;
rende pareri motivati in materia (dai quali il Ministero non può discostarsi) e per tale via
può condurre alla soppressione di sedi o proporre federazioni o fusioni di atenei19; si
dedica al monitoraggio dell’applicazione dei medesimi criteri e indicatori secondo “criteri e
metodologie stabilite dall’Agenzia stessa” (art. 11 c. 1). Si vede bene come il cumulo di
attribuzioni qui delineato, come si è già detto in precedenza, svuoti di fatto il Ministero di
buona parte dei suoi compiti di programmazione e indirizzo.
Ciò detto, interessa rilevare che l’Agenzia interviene direttamente anche nella assegnazione
degli incentivi, attraverso l’azione di monitoraggio. Infatti, se da un canto è previsto che
una percentuale dell’FFO sia assegnato dal Ministero sulla base dei risultati conseguiti
nella didattica e nella ricerca, sulla base di quanto previsto dal già menzionato D.L.
180/2008 (Dlgs. 19/2012, art. 15 c. 1), l’incentivo risente anche di quanto accertato
attraverso il monitoraggio, in particolare per quanto riguarda rispondenza a criteri e
indicatori, coerenza della programmazione di ateneo e grado di raggiungimento degli
obiettivi strategici (art. 15 c. 2). In relazione a questi ultimi aspetti, è previsto che il
Ministero, sulla base di quanto proposto dall’Agenzia, rediga una graduatoria di atenei ai
quali attribuire l’incentivo in ordine decrescente (art. 15 c. 3).
In questo modo si crea un doppio canale attraverso il quale sono definiti gli interventi
incentivanti (ed eventualmente disincentivanti): da un canto il cosiddetto sistema AVA
(autovalutazione, valutazione periodica, accreditamento) e il relativo monitoraggio, e
dall’altro la VQR, ossia l’esercizio di valutazione nazionale della qualità della ricerca,
periodicamente avviato con decreto ministeriale sulla base del D.L. 180/2008 e della l.
240/2010. In entrambi i casi, AVA e VQR, è l’Agenzia, attraverso la definizione di criteri e
indicatori e la compilazione di graduatorie ad avere in mano, per così dire, i cordoni della
borsa.
Particolare attenzione merita anche il Dlgs. 49/2012, dedicato alla “disciplina per la
programmazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche di bilancio e di
reclutamento degli atenei”; si tratta di un provvedimento particolarmente importante, in
quanto esso riprende alcuni dei criteri che già da diversi anni si era voluto porre al centro
19 Si vedano gli art. 7,8,9, del Dlgs 19/2012; cfr. anche il Dlgs. 199/2011, art. 19 c. 6 e 7.
della gestione del sistema universitario (ad esempio, la programmazione triennale, il costo
standard per studente, la composizione della spesa per personale da parte degli atenei),
aggiungendovi nuovi aspetti oggetto di valutazione, quale appunto la “politica di
reclutamento” intrapresa dagli atenei20. Conviene soffermarsi brevemente sul contenuto
degli articoli 8, 9 e 10. L’articolo 8, dedicato al costo standard unitario di formazione per
studente in corso, stabilisce che con tale parametro si intende “il costo di riferimento
attribuito al singolo studente iscritto entro la durata normale del corso di studio,
determinato tenuto conto della tipologia di corso di studi, delle dimensioni dell’ateneo e
dei differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università” (c.
1). Come si ricorderà, per effetto della l. 240/2010, il costo standard è uno dei parametri da
adottarsi nell’assegnazione dell’FFO. Esso, stando al Dlgs. 49/2012, deve essere definito
con decreto ministeriale, sentita l’ANVUR, sulla base delle voci di costo relative a
dotazione di personale docente e ricercatore, dotazione di personale tecnicoamministrativo
nonché servizi didattici, funzionamento e gestione delle strutture, e infine
“ulteriori voci di costo finalizzate a qualificare gli standard di riferimento e commisurate
alla tipologia degli ambiti disciplinari” (art. 8 c. 2).
Il decreto definisce anche i parametri da utilizzarsi per la valutazione ex post del
reclutamento: altra voce alla quale la l. 240/2010 lega l’assegnazione di una quota del
fondo, la cui soglia massima è fissata al 10%. Infatti, l’art. 9 dispone che le politiche di
reclutamento siano valutate sulla base di criteri legati essenzialmente alla produzione
scientifica, alla mobilità e all’internazionalizzazione. A ciò si aggiunge un ulteriore
elemento, per certi versi slegato dalla valutazione dei singoli – alla quale sono connessi i
criteri appena citati – e che fa invece riferimento alla composizione del personale
incardinato presso l’ateneo21. Stando al citato Dlgs., all’ANVUR spetta, entro 90 giorni
dall’entrata in vigore del decreto, definire “il periodo di riferimento della valutazione, la
ponderazione dei criteri e la definizione dei parametri”22. Infine, l’art. 10 del Dlgs. 49/2012
prevede che il Ministero indichi con proprio decreto, avente validità almeno triennale, le
percentuali di ripartizione dell’FFO da assegnare “in relazione al costo standard per
studente, ai risultati della didattica, della ricerca, delle politiche di reclutamento e agli
interventi perequativi”.
Entrambe queste previsioni, sia quella relativa alla definizione di criteri ad hoc per la
valutazione del reclutamento, sia quella relativa al decreto contenente le percentuali di
assegnazione dell’FFO, vengono superate con la conversione in legge del D.L. 69/2013.
Con questo intervento normativo, infatti, viene rimodulata la struttura dell’FFO, con
l’intento di incrementarne progressivamente le quote premiali e – al contempo – di
limitare gli squilibri che potevano derivarne: “La quota del Fondo per il finanziamento
ordinario delle università destinata alla promozione e al sostegno dell’incremento
qualitativo delle attività delle università statali e al miglioramento dell’efficacia e
dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse (..) è determinata in misura non inferiore al 16 per
cento per l’anno 2014, al 18 per cento per l’anno 2015 e al 20 per cento per l’anno 2016,
con successivi incrementi annuali non inferiori al 2 per cento e fino ad un massimo del 30
per cento. Di tale quota, almeno tre quinti sono ripartiti tra le università sulla base dei
risultati conseguiti nella Valutazione della qualità della ricerca (VQR) e un quinto sulla
base della valutazione delle politiche di reclutamento, effettuate a cadenza quinquennale
20 Lasciando da canto le questioni relative a piano economico-finanziario, programmazione del personale e limiti di spesa e
indebitamento, alle quali sono dedicati i primi sette articoli del decreto.
21 “la struttura e i rapporti dell’organico del personale docente e ricercatore, dirigente e tecnico amministrativo”, art. 9 c. 1 lett. f).
22Art. 9 c. 2
dall’Agenzia nazionale per la valutazione dell’università e della ricerca (ANVUR).
L’applicazione delle disposizioni di cui al presente comma non può determinare la
riduzione della quota del Fondo per il finanziamento ordinario spettante a ciascuna
università e a ciascun anno in misura superiore al 5 per cento dell’anno precedente” (art.
60 c. 1). Per quanto riguarda la valutazione delle politiche di reclutamento, che l’ANVUR
avrebbe dovuto effettuare su base quinquennale, essa venne di fatto ricompresa nella VQR:
nello svolgimento del primo esercizio di valutazione nazionale, infatti, si è proceduto a
un’analisi specifica della performance dei soggetti reclutati da parte delle strutture (Atenei
e Dipartimenti). Infine non sarà sfuggito al lettore, che il D.L. 69/2013 definisce solo i
quattro quinti della quota premiale: un quinto resta nell’ombra. Si tratta della frazione
relativa alla valutazione della didattica, per la quale, a quanto pare, si fatica a definire
strumenti acconci.

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